Il 1954, ed i mesi che quel crinale hanno immediatamente anticipato e seguito, è davvero un tempo cruciale per l’arte italiana.
Può dirsi che a quella soglia tanti nostri artisti spicchino il balzo verso la loro più alta maturità. Ciò avviene in particolare a Roma: dove, ad esempio, Afro – dopo un lungo tragitto che l’ha condotto già negli anni Trenta ad affiancare la “Scuola Romana”, e dopo la stagione neo-cubista d’immediato dopoguerra – fa tesoro delle sue esperienze americane, e individua la sua lingua in un vero che è soltanto di memoria, e in un colore che si inabissa e lentamente riaffiora alla superficie; mentre Scialoja, suo amico e coetaneo, trova nel nuovo medium dello straccio, che adotta adesso in luogo del pennello, la sua strada verso un’astrazione carica sempre di confessione e di mistero; e Corpora inizia ad approdare al suo “informale eterodosso”.
Sempre a Roma, e sempre ad esempio, i “giovani” che s’erano adunati nel ’47 sotto le bandiere di “Forma”, rimestando anch’essi dapprima un neo-cubismo presto corretto dalla lezione neo-concreta di Magnelli e d’altri francesi – Dorazio e Perilli, Accardi e Sanfilippo, Turcato e Consagra – trovano anch’essi, dopo una coesione di lingua che li aveva resi quasi l’un con l’altro scambiabili, una loro via fortemente individuale. Nel ’54, anche, Rotella strappa dai muri di Roma i suoi primi manifesti, e Scarpitta esce da quell’alveo espressionista che ne aveva costituito il primo modo.
Ancora nel ’54, per allargare lo sguardo al nord della nostra penisola, Francesco Arcangeli pubblica su “Paragone”, la rivista di Roberto Longhi, il saggio che sancisce l’aggregazione degli “ultimi naturalisti”: a capofila dei quali viene chiamato un pittore, Ennio Morlotti, che proveniva dai due gruppi che maggiormente avevano segnato l’arte italiana all’indomani del conflitto mondiale: il “Fronte Nuovo delle Arti” e il “Gruppo degli Otto”. Gruppi ora definitivamente dissolti; ed è questo un altro tratto che caratterizza il tempo attorno alla metà del decennio: la sfiducia nella coesione d’intenti che possa generarsi nella condivisione di una poetica e di una strategia comuni.
A Venezia, così, ancora ad esempio, Vedova o Santomaso trovano al di fuori dalla sintassi astratto-concreta degli “Otto” la loro maggiore maturità; e lo stesso farà il più giovane Tancredi. A Milano, mentre giunge ad una sua acme il rigoroso astrattismo di Nigro, Bepi Romagnoni dà voce, nel breve tempo della vita, ad un dolente suo “realismo esistenziale”.
Solo due grandi artisti può dirsi che avessero annunciato il nuovo, rispettivamente a Roma e a Milano, con un anticipo netto sul crinale del 1954: Alberto Burri e Lucio Fontana. Burri avendo nel ’52 strappato e ricucito i suoi “sacchi”; Fontana – d’una diversa, più alta generazione – avendo già nel ’49 bucato le sue carte e le sue tele: gesti entrambi di radicalità assoluta nei confronti della tradizione, ma con i quali né l’uno né l’altro intendevano dimenticare la pittura.
1954-1970: forme dell’astratto
1954-1970: forme dell’astratto
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Tre sabbie
Tre doppie impronte si ergono in verticale nella composizione, saturandone lo spazio. L’immagine è grave, intransigente, quasi ostile; i tre corpi – rialzati da una spessa materia che unisce le sabbie ai pigmenti cromatici grazie ad un collante vinilico a presa rapida – appaiono come fiamme bianche e rosse, disponendosi in sequenza sulla superficie: come testimoni di un evento che abbia lasciato di sé un’eco dolorosa.
Dipinto
XX Sec.
Astratto
Spazio totale n. 5
Sagome geometriche scendono, una sull’altra, nel campo della tela; al loro interno, esse sono tramate da fitte linee che s’incrociano perpendicolarmente; e negli spazi minuti che questi incroci evidenziano, altri piccoli segni, rigorosamente simili, li punteggiano.
Dipinto
XX Sec.
Astratto
Senza titolo
Il dipinto è ormai definitivamente lontano da ogni riferimento alla realtà: nella gremita, satura, congestionata sintassi dei corpi e dei volumi, che non più mimano alcuna verità di natura, il colore esplode ancora molteplice e clamoroso: bianchi, rossi e neri sembrano conflagrare sul manto delle ocra del fondo.
Dipinto
XX Sec.
Astratto
Senza titolo
“Penso che nei miei quadri si veda che lo spazio è curvo”, ha scritto una volta Tancredi: e questo motto sembra attagliarsi perfettamente a questo dipinto, ove una miriade di leggere e volitanti lamelle scure s’aggrumano al centro della composizione e diradano poi nelle quattro direzioni, offrendo la sensazione di un corpo convesso che graviti nello spazio.
Dipinto
XX Sec.
Astratto
Rinascere
Un lago di colore, soltanto, fa l’immagine del dipinto. Variati in cento declinazioni tonalmente accordate, i gialli, le terre, le ocra, i più cauti aranci, saturano la superficie, omogeneamente occupata, tutta protesa verso il fruitore, senza che si apra alcuna fuga prospettica verso un’illusiva profondità.
Dipinto
XX Sec.
Astratto
Reticolo
“Forme di pura invenzione lirica s’intrecciano e si sovrappongono secondo il ritmo dell’emozione, creando uno spazio che è spazio poetico”; così scrisse Palma Bucarelli, allora direttrice della Galleria Nazionale d’Arte Moderna di Roma, introducendo la vasta sala personale che la XXIX Biennale di Venezia dedicava, per la prima volta, a Turcato.
Dipinto
XX Sec.
Astratto
Quadrato in evoluzione
Nel piccolo dipinto, si dispiega una spazialità vasta, quasi incommensurabile; alitata, sospinta verso un indefinito ‘oltre’ – si direbbe – dal vorticare folle di quell’elica, quasi unica nota di colore squillante acceso nel lago dei bianchi e dei grigi, che gira al centro della composizione, come raccogliendo e sospingendo ovunque il flebile soffio di vento che la muove.
Dipinto
XX Sec.
Astratto
Pietra miliare
Un fuoco bianco giace al centro dell’immagine, apparizione fantasmatica nella coltre dei grigi, delle ocra. Ma tutto è lasciato ormai all’indistinzione: le forme, non più contornate dal disegno, sono ridotte a “organismi pulsanti intessuti di luci e di ritmi grafici”, come ha scritto Nello Ponente presentando le 21 opere di questi anni che facevano la vasta sala personale di Corpora alla Biennale di Venezia del 1960.
Dipinto
XX Sec.
Astratto
Piccola immagine di legno
Al centro della tela bislunga, cozza ed esplode un grumo di materia, neri grigi aranci, come se un breve volo cieco si fosse infranto su di uno sbarramento alzatogli d’improvviso innanzi. L’immagine (il cui titolo Moreni ha iscritto, secondo un modo che ha inizio nel 1960, sul recto della tela) è percorsa, e sommossa, dalla violenza che sempre appartiene al pittore: e non ad altro serve quel lago quieto di grigio e di verde che sormonta e sottostà alla conflagrazione, se non a sottolinearne l’empito bruciante.
Dipinto
XX Sec.
Astratto
Notturno
Corpi fluttuanti, quasi organici, s’approssimano vicendevolmente, si sfiorano, s’internano l’uno nell’altro; i colori tenui e senz’ombra, tonalmente accordati, e sui quali rintocca appena una breve bava di rosso in alto, li sospingono fino alla prima pelle d’una superficie che s’è fatta ormai unico luogo della pittura.
Dipinto
XX Sec.
Astratto
Lenzuolo di San Rocco
Carte e cartemonete compongono una strana figura verticale, che s’alza enigmatica su un fondo sabbioso, senz’ombra. Ancora una volta l’immagine vuole pertinacemente la superficie, né cerca un’illusione di profondità, che la stringerebbe al mondo.
Dipinto
XX Sec.
Astratto
Immagine del tempo ’59, n. 3
Nel grande spazio turbato della tela bislunga, alta quasi tre metri, corrono i neri sul manto dei bianchi; un torrido giallo – quasi un cuore – crepita al centro della composizione, rotta in ogni suo punto in singulti, scontri, violenze.
Dipinto
XX Sec.
Astratto
Fondo rosso
Su un campo rosso, tracciati di giallo luminoso, orientati in tutte le direzioni, s’incrociano e si scontrano in una concitazione nella quale si esplica pienamente il tema di un’arte che si sottrae alla composizione equilibrata, o pacificata, delle sue forme.
Dipinto
XX Sec.
Astratto
La folla
Parole - ma disperse, slegate e senza costrutto - appaiono al centro della composizione, ormai dette a mezza bocca, senza più che un costrutto logico le stringa: “…antenate di ogni …”; “…che sia…”.
Dipinto
XX Sec.
Astratto
Figura
Disseminati sull’intera superficie del dipinto, i colori tenui e soffusi – ai quali sembra dare il là il rintocco di rosa pallidissimo che giace al centro della composizione – si divincolano nella spazialità aperta, e potenzialmente infinita, del campo pittorico; nessun legaccio li tiene, nessuna sonda prospettica li ancora ad un punto: come fossero in un amnio, appaiono fra brevi retroflessioni e affioramenti, mentre solo un breve colpo di nero, in basso, s’eccettua dal dialogo sommesso e accordato del tono.
Dipinto
XX Sec.
Astratto
Due di febbraio
Su due registri, che occupano la parte superiore e inferiore della composizione, si susseguono le impronte, che Scialoja ha impresso sulla tela con il tramite di una carta oliata, imbevuta di colore, e successivamente ‘battuta’ sul manto della pittura già a sua volta intriso di colore.
Dipinto
XX Sec.
Astratto
Dimostrazione a New York (Vigilia a New York)
La piccola tela è tutta percorsa, squassata quasi, da forme allungate, strappate, che, gravide di colori vibranti e variati – dal nero al rosso, dal bianco all’arancio – si distendono sull’orizzonte o s’impennano sulla verticale. Nel coacervo inestricabile delle figure dilaniate, si distinguono alcune iscrizioni.
Dipinto
XX Sec.
Astratto
Composizione
Corpi geometrici si incastrano sulla superficie, occupando tutta l’estensione del dipinto: ancora una volta è l’idea di un orizzonte attorno al quale si ordina e si sviluppa la composizione a governare la spazialità del dipinto: ed è questa intenzione formale, che pur qui il pittore insegue, ad allontanare l’opera dalla nozione di un’accademia dell’astratto, di cui Romiti pare avvertire i rischi.
Dipinto
XX Sec.
Astratto
Composition sur une courbe algebrique
Si tratta di una tipica composizione astratta degli anni Cinquanta nei quali Gino Severini fece ritorno al Futurismo dopo la lunga parentesi figurativa intercorsa tra le due guerre. Il titolo che allude ad una curva algebrica attesta il vivo interesse dell'artista ai rapporti tra il “numero” e le forme, quale si era già manifestato negli anni di pubblicazione del suo “Du Cubisme au Classicisme” (1921).
Dipinto
XX Sec.
Astratto
La civetteria dell’astrazione
Una grande forma oscura, composta dall’incastro di tanti poligoni irregolari, si distende nello spazio di superficie, non toccato da ombre e dunque senza una propria profondità, come precipitando, ansiosamente, dall’alto verso il basso.
Dipinto
XX Sec.
Astratto
Blu verde azzurro
Cento figure vagano e si rincorrono, come intrecciassero una danza, sulla superficie monocroma: nessuna ombra le tocca, e così, senza un chiaroscuro che ne suggerisca peso e volume, esse giocano quasi a saturare lo spazio con il loro incontenuto tripudio cromatico, ove squillano i bianchi, i verdi, gli azzurri.
Dipinto
XX Sec.
Astratto