Con gli anni Settanta, e in particolare allo scadere del decennio, può dirsi concluso, ovunque nel mondo, il tragitto più alto ed innovativo della pittura astratta, intesa quanto meno come luogo unico o privilegiato in cui si ricoverino le ricerche più avanzate. Il suo dominio, contrastato sempre non solo da un settore ampio del pubblico e della critica (né solo della più retriva: basti pensare, da noi, alla posizione di Roberto Longhi), ma da parallele esperienze di arte legata alla figurazione, è stato infine indiscusso, se si pone mente alla vicenda complessiva delle arti visive dai primi del secolo e fino all’avvento singolarmente quasi simultaneo del concettualismo e della pop art, e poi della scultura post-minimalista, estesa in varie forme di qua e di là dell’oceano. Con essa, entra d’altronde definitivamente in crisi anche l’antico statuto della scultura, e la rigida separazione che una secolare speculazione estetica aveva tracciato fra essa e la pittura.
Nel pensiero estetico che cambia, sono rilevanti però – per quantità e qualità – i casi di permanenza dei più antichi linguaggi. Alcuni dei maggiori fra essi, per quanto attiene all’arte italiana, sono documentati nelle collezioni della Banca d’Italia.
Essi sono dovuti ad esponenti delle precedenti generazioni che proseguono, innovandoli, i loro modi di un tempo; ad artisti sbocciati in un alveo più prossimo alle varie declinazioni che da noi ha assunto il concettuale, e a fianco ad esso la così detta “Arte povera” (in realtà una delle formulazioni del post-minimalismo internazionale); ed infine ad artisti più giovani che hanno in questo torno di tempo (gli ultimi trent’anni del “secolo breve”, dunque) espresso la loro intenzione di recuperare i canoni di una tradizione astratta del moderno.
Fra i primi si contano le esperienze di Corpora, abbandonato nei suoi ultimi anni a un modo più intensamente lirico, di Afro e di Scialoja (l’uno ora propenso a un’astrazione geometrizzante, l’altro ad un recupero della libera gestualità del ’56-’57, che aveva abbandonato per le ‘quantità’ spazio-temporali delle ‘impronte’), di Perilli, Dorazio o Carla Accardi, tutti provenienti da “Forma” e ciascuno intento a una formulazione d’immagine fondata ancora sul metro individuato da ognuno nella prima maturità: rispettivamente quello d’una geometria folle e dadaista, della luce e della sua trasparenza, e del segno annegato nel manto del colore.
Fra i secondi, si segnalano le opere di Paolini, di Calzolari e di Gastini. Fra i più giovani, di cui s’è scelto qui di tener conto solo esemplarmente, nominiamo i dipinti rigorosamente geometrici di Marco Tirelli, e i ‘paesaggi’ trasfigurati e denudati di Silvio Lacasella.
Dal 1970 in avanti: altre forme dell’astratto
Dal 1970 in avanti: altre forme dell’astratto
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Vortice del vento verde
Nonostante il titolo dell’opera faccia menzione del solo colore di fondo, è al giallo che campisce unito e senz’ombre la forma che fluttua nel campo pittorico, come trascinata sulla superficie da un colpo improvviso di vento, e al viola – davvero matissiano – con cui sono tracciati i segni che vagano senza bussola nel corpo della ‘figura’ e nel fondo, che è affidato il carico dell’impatto emotivo sul fruitore.
Dipinto
XX Sec.
Astratto
Superficie blu
La superficie, rigorosamente monocroma, è rialzata ai quattro margini da chiodi simmetricamente disposti alla medesima distanza uno dall’altro – a destra e a sinistra, in alto e in basso – così da separare la tela dal suo telaio.
Dipinto
XX Sec.
Astratto
Soggetto astratto
Fittamente tramata da un pulviscolo di materia, la superficie è saturata in ogni suo punto dalla texture cromatica che omogeneamente la occupa. La miriade di colori che ne fanno la salda architettura, minutamente colpeggiati sulla tela, depone infine la sua variegata natura per assimilarsi ad un monocromo.
Dipinto
XX Sec.
Astratto
Senza titolo
La tela può essere, come spesso in Gastini, il supporto di una più antica pittura: erosa fino all’imprimitura, essa non conserva più nulla dell’immagine che ospitava, se non la memoria di quella primigenia intenzione a dipingere, a riempire “lineis et coloribus”, con linee e colori, la superficie.
Dipinto
XX Sec.
Astratto
Senza titolo
Contro un fondo di un rosso omogeneo, da una sorta di traliccio si allungano lingue o sbuffi vaganti di fumo: ne esce un’immagine che, più che con la natura, con la quale Calzolari ha pur dichiarato di voler serbare un rapporto, sembra discendere da un’allucinazione o da un sogno.
Dipinto
XX Sec.
Astratto
Senza titolo (Orizzonte)
Una sfera, magicamente sospesa nel nulla, gravita in un campo omogeneamente scuro: avviso o minaccia, la nuda presenza della figura geometrica più semplice e perfetta, portando con sé la sua energia davvero tellurica e primeva, sta al centro della composizione, mutuando dal fondo le sue ombre, le sue luci, i suoi nascondimenti.
Dipinto
XX Sec.
Astratto
Senza titolo
Lunghi e stretti segmenti di carte precedentemente bagnate di colori l’uno con l’altro accordati (il registro tonale, qui, è quello delle ocra tendenti all’azzurro e al grigio) si susseguono paratatticamente sulla piccola superficie: quantità geometriche, soltanto, che sembrano aliene da ogni volontà di attestare slanci, passioni, grida dell’animo: come a lungo era stato in Scialoja.
Dipinto
XX Sec.
Astratto
Senza titolo
Sul fondo omogeneamente occupato da un giallo tendente all’ocra si dispongono, rapidi e guizzanti, dispersi sull’intera superficie della grande tela, i segni: anch’essi d’un solo colore, come incerto fra celeste e azzurro.
Dipinto
XX Sec.
Astratto
Il paese della nostra infanzia
L’immagine, racchiusa da bande monocrome – marroni, azzurre, verdi – che l’assediano e che progressivamente la stringono al centro, è costruita da un aggregarsi di tasselli imperfettamente geometrici e intensamente, quasi gioiosamente colorati, che, proprio al centro della composizione, costruiscono una sorta di architettura di superficie, emozionata e insieme fermissima e altera.
Dipinto
XX Sec.
Astratto
Louisiana
Su un fondo d’un azzurro omogeneo si compone una fitta trama di segni-colore, di timbro variatissimo, che tutti assieme costituiscono una superficie movimentata, percorsa da un capo all’altro da infinite traiettorie di energia.
Dipinto
XX Sec.
Astratto
Impronte di paesaggio
Una lunga striscia di luce percorre, in basso, tutto il dipinto; sotto di essa, una stretta lingua di terra designa un lontanissimo orizzonte. Al centro, quella lingua di colore più sordo s’impenna appena, quasi protendendosi verso la luce: è l’unico moto, questo breve rialzarsi della cresta di terra, che percorre la tavola, e che la sottrae al suo immoto silenzio.
Dipinto
XX Sec.
Paesaggio
Fuori tiro
In un formato verticale - non usuale, a questa data, al pittore: che predilige invece allineare le sue forme come se giacessero sul filo di un immaginato orizzonte - alcune figure imperfettamente geometriche (cerchi, triangoli, trapezi, ovoidi) s’ergono come un totem d’antiche civiltà, stagliando le loro sagome interroganti e i loro timbri cromatici accesi contro un fondo che si modula sui toni del grigio.
Dipinto
XX Sec.
Astratto
Equivalenza
Nel vasto spazio di una tela bianca s’incrociano al centro due ortogonali. Il loro punto d’incontro, fuoco esatto della composizione, è anche il centro di due rettangoli, anch’essi designati con assoluta precisione da un segno sottile di matita nera, che occupano due porzioni crescenti di spazio, riecheggiando le dimensioni della tela.
Dipinto
XX Sec.
Astratto
Contractes
Cubi e parallelepipedi irregolari si affollano nello spazio senz’aria della composizione. I colori gelidi e puri che li saturano, non toccati dall’ombra, faticano ad accordarsi con quel dislocamento in profondità dell’immagine che parrebbero suggerire i corpi prospettici; mentre con l’ipotizzata geometria solida si pone in flagrante conflitto la griglia di segni rossi, come usciti dal normografo di un tipografo fuori senno.
Dipinto
XX Sec.
Astratto