Il soggetto della tela, tratto dagli Idilli di Teocrito, illustra l’amore di Galatea per l’avvenente pastore Aci. Il mito narra che il ciclope Polifemo, a sua volta innamorato della bella nereide, uccise il giovane siciliano scagliandogli addosso un enorme masso. Galatea, pur di tenere in vita il ricordo dell’amato, trasformò il sangue di Aci nel fiume presso Catania che ne prese il nome. La scena è dominata dai due amanti che si abbracciano e da un amorino alato che distende un velo per coprirli. In secondo piano sono due figure di tritoni e in lontananza appare la costa calabrese.
La tela, proveniente dalla collezione Gualino, appartiene al tardo periodo veneziano dell’artista, ed è databile al 1690 circa. Dal punto di vista stilistico essa si accosta al particolare classicismo dei bolognesi Marcantonio Franceschini e Lorenzo Pasinelli e al lirismo cromatico e sentimentale della pittura di Alessandro Varotari, detto il Padovanino. L’opera rivela notevoli affinità anche con i richiami neocinquecentesci del veneto Pietro Liberi, con il quale il pittore marchigiano ebbe un prolungato rapporto professionale. Il dipinto è tra i lavori più riusciti dell’ultima attività di Diamantini, artista versato, più che nelle grandi composizioni storiche, nel genere erotico-mitologico dei quadri da cavalletto.
Giuseppe Diamantini, Aci e Galatea
Aci e Galatea
Dipinto
XVII Sec.
Biblico - Storico - Mitologico
Artista
Cronologia
1690 circa
Materia e tecnica
Olio su tela
Misure
cm 111 x 150
Compilatore
Alessandro Zuccari